Greta on the beach è una riflessione sulla condizione umana contemporanea. Immersi nel suono del maree nel canto dei gabbiani, assistiamo alla rappresentazione di un’umanità spenta, inespressa, vuota, che sa accendersi soltanto nel momento catartico del desiderio e dell’immaginazione, della nostalgia e della danza. Un paesaggio di gesti quotidiani (leggere un libro, giocare a carte, pettinarsi), di solitudine, di indifferenza e incomunicabilità – cadenzato dal rumore della risacca e all’apparenza eterno – viene rotto da momenti in cui le espressioni del corpo e del movimento abbandonano il reale per farsi metafora, simbolo, enigma. Ognuno di questi momenti è un quadro a sé, un’apparizione che arriva e svanisce come arrivano e svaniscono i sogni e i pensieri. Quegli stessi corpi, osservati prima nella loro immutabile apatia quotidiana, si rianimano per farsi portatori di visioni (diventano pesci, ballerini, amanti, poeti, assassini, profeti) e rappresentare i sentimenti e le pulsioni dell’umano (desiderio, frustrazione, rivalità, cura, morte, passione politica…) A guidarci in questo viaggio, sospeso tra sogno e realtà, le parole apocalittiche di Nevil Shute, quelle inquietanti e abissali di T.S. Eliot e la voce di Greta Thumberg, una voce che, se come i millenaristi del medioevo annuncia la catastrofe, risuona tuttavia come speranza di redenzione nel timbro incorrotto e incorruttibile, nella sensibilità che non conosce il compromesso, nel coraggio di chi ama il coraggio e i suoi orizzonti.